15.8 C
Milano,IT
6 Maggio 2025 - 12 : 40
Pagina 9

Emergenza esami: consigli per sostenere la memoria di vostro figlio

Non impariamo tutti allo stesso modo. Sicuramente non memorizziamo allo stesso modo. Questione di profilo: ognuno di noi ha un cervello diverso, fatto dalle proprie personali esperienze di vita e, quindi, è necessario tener conto anche di quale tipo di memoria abbiamo a disposizione. Ecco qualche consiglio per aiutare i nostri figli, prossimi agli esami, a ripassare più efficacemente.

La memoria visiva:

I “visivi” rappresentano circa il 55% della popolazione occidentale. La loro memoria trattiene più facilmente le immagini e ciò che è scritto.

L’ideale per loro è avere a disposizione le mappe concettuali, che consistono nel rappresentare le informazioni in modo spaziale, su un foglio come se fosse la mappa di un paesaggio. E poi, matite ed evidenziatori. Strumento perfetto per ripassare storia, geografia, le scienze della Terra, la letteratura o la filosofia. Il vantaggio è doppio: comprensione e memorizzazione.

Per realizzarla (nella sua versione più basic) prendete un foglio bianco, mettetelo orizzontale e collocate l’argomento principale al centro, poi tracciate dei rami a partire dal centro per creare i collegamenti: gradi per i temi principali, piccoli per i secondari. Infine, scrivete idee e date. Aggiungete del colore e delle immagini (eccellenti strumenti di mnemonica). Il giorno dell’esame scritto, i più ambiziosi potranno utilizzare la tecnica della mappa concettuale per strutturare la composizione.

La memoria auditiva:

Il 20 % della popolazione è stimolato dai suoni, dai ritmi e dalla comunicazione verbale. L’ideale per gli “auditivi” è ripassare con la cuffia sulle orecchie, perché la musica (senza canto) crea una bolla all’interno della quale riescono a concentrarsi meglio.

Il metodo di lavoro migliore è pronunciare le frasi del testo a voce alta; meglio ancora se è possibile usare un registratore, che poi consentirà ai ragazzi di riascoltarsi. Possono anche trovarsi con uno o due compagni di classe (anche loro con lo stesso profilo uditivo) per tenere la lezione a turno e ripeterla, facendosi domande e dando riposte.

La memoria cinestesica:

Il 25% della popolazione è dotato di una memoria che si attiva grazie al movimento e quindi al fare. Uno studio recente realizzato in Olanda dimostra che i bambini integrano meglio le informazioni (ad esempio, matematica oppure ortografia) quando hanno la possibilità di muoversi. Incoraggiateli a camminare per la casa quando devono ripassare.

Se vostro figlio dovesse avere un profilo misto, ad esempio auditivo e cinestesico, potrà registrare gli appunti e poi camminare ascoltandosi con la cuffia (cosa che oltre a tutto, ossigena anche il cervello) seguendo il proprio ritmo naturale. Un altro strumento utile è la scrittura manuale di appunti e schemi.

Niente di nuovo sotto il sole del Brain Gym (provate a fare il movimento dell’Elefante)!

Perché, a volte, i bambini sono più bravi degli adulti

In genere, gli adulti riescono meglio dei bambini. Eppure, mi vengono in mente un sacco di situazioni in cui i bambini sono bravissimi in cose che per me sono quasi impossibili.

Uno studio recente aggiunge una voce alla lista: notare ciò che gli adulti non vedono. E ciò accade proprio a causa di uno dei limiti dei bambini: per loro è più faticoso concentrarsi.

In più occasioni gli studiosi hanno scoperto che gli adulti sono molto bravi a ricordare le informazioni quando viene detto loro di concentrarsi su di esse e di ignorare il resto. Al contrario, i bambini di 4 o 5 anni tendono a fare attenzione a tutte le informazioni presentate, anche se viene loro detto di concentrarsi solo su qualcosa in particolare. Ciò aiuta i bambini a notare cose che gli adulti non colgono a causa della “attenzione selettiva” tipica di chi è maturo.

“Spesso pensiamo che i bambini siano carenti in molte abilità quando li confrontiamo agli adulti. Talvolta però ciò che pare una carenza in realtà è un vantaggio” dice Vladimir Sloutsky, co-autore con Daniel Plebanek di uno studio pubblicato su “Psychological Science” e professore di psicologia alla Ohio State University.

“I bambini sono estremamente curiosi e tendono ad esplorare tutto, ciò significa che la loro attenzione è ‘sparsa’, anche quando viene loro chiesto di concentrarsi. E ciò a volte può risultare un vantaggio, perché finiscono con l’osservare e ricordare di più.”

La capacità degli adulti di concentrare l’attenzione e la tendenza dei bambini a distribuirla hanno entrambe lati positivi e negativi.

La capacità di concentrare l’attenzione è ciò che consente agli adulti di restare seduti per due ore di riunione e sostenere conversazioni lunghe, ignorando le distrazioni. Ma l’uso distribuito dell’attenzione nei bambini permette loro di apprendere di più in ambienti nuovi e non familiari, immagazzinando molte più informazioni.

Il fatto che i bambini non riescano sempre bene nel concentrare l’attenzione rivela anche l’importanza di studiare il giusto ambiente per l’apprendimento nelle classi scolastiche, dice Sloutsky.

“I bambini non possono gestire troppe distrazioni. Incamerano continuamente nuove informazioni, anche se non è ciò che viene insegnato in classe. Dobbiamo assicurarci di essere consapevoli di ciò e progettare le nostre classi, i libri di testo e il materiale educativo per facilitare l’apprendimento…”.

 

Testo tradotto e adattato tratto dal sito theeconomyoflearning.com di Pedro De Bruyckere.

Brain Gym: un cervello in tre dimensioni

Escher, “Altro mondo”.

L’essere umano è tridimensionale e vive e si muove in uno spazio a tre dimensioni. Purtroppo, i progressi della nostra civiltà ci costringono sempre più a utilizzare strumenti bidimensionali che spesso richiedono una “traduzione” in tre dimensioni nel cervello. La maggior parte del nostro apprendimento avviene per mezzo di fogli di carta (libri), lavagne, video… Siamo diventati bravissimi a vedere un’immagine bidimensionale come un oggetto tridimensionale che questa funzione è passata dal cervello cosciente a quello automatico (tronco), che governa buona parte delle nostre azioni quotidiane (camminare, mangiare ecc.).

Perché questa traduzione avvenga facilmente è importante i nostri assi sinistra/destra, avanti/dietro e alto/basso funzionino correttamente e comunichino bene fra loro, cosa che, purtroppo, non sempre avviene.

Nel cervello, le tre dimensioni corrispondono…

  • la lateralità (sinistra/destra) agli emisferi sinistro e destro,
  • la centratura (alto/basso) al tronco cerebrale e al cervelletto (nel cervello medio)
  • la focalizzazione (avanti/dietro) al lobo anteriore e a quello posteriore.

La Lateralità:

La linea che separa verticalmente il corpo in due metà (sinistra/destra) è il riferimento necessario per tutte le attività che coinvolgono la lateralità. Il campo mediano è la zona in cui i campi visivi destro e sinistro si sovrappongono, chiedendo agli occhi e ai muscoli associati di lavorare d’accordo come se fossero un solo occhio. Ogni emisfero svolge un ruolo ben definito nell’elaborazione delle informazioni. Lo sviluppo della lateralizzazione è essenziale per la crescita autonoma del bambino.

Con gli esercizi per la lateralità aiutiamo la comunicazione fra i due emisferi cerebrali: il sinistro, che si occupa prevalentemente di logica, linguaggio e ha una visione temporale e lineare, e il destro, che si occupa soprattutto della percezione delle forme, del suono e ha una visione spaziale e globale.

La Centratura:

La linea di separazione alto/basso ci fornisce informazioni sulla relazione esistente fra il cervello e il corpo. Parliamo di cervello medio (o sistema limbico), cioè del mondo delle emozioni. Se tutte le informazioni passano correttamente dal tronco cerebrale e raggiungono i lobi frontali, possiamo agire con calma, con obiettività e prendere decisioni razionali. Al contrario, se queste informazioni non vengono filtrate adeguatamente, il cervelletto si attiva per innescare una reazione di sopravvivenza emotiva e farci reagire in maniera automatica e istintiva (fuga/lotta) e non, invece, logica. Essa rappresenta la linea di stabilità.

Con gli esercizi per la Centratura (o energetici) favoriamo la comunicazione fra il tronco cerebrale e il cervelletto (nel cervello medio), accordando ciò che sentiamo con ciò che facciamo. Tutte le informazioni che giungono dai sensi vengono filtrate e trasmesse alla corteccia frontale per consentirci di prendere decisioni razionali, rimanendo centrati e organizzati.

La Focalizzazione:

La linea di separazione avanti/dietro ci informa in merito a come le informazioni, raccolte dal cervello posteriore (ricettivo), vengono poi comunicate dal cervello anteriore (espressivo). La capacità di osservare i particolari mentre conserviamo una visione d’insieme ci consente anche di crearci un nostro punto di vista personale. Possiamo concentrarci o fare marcia indietro, essere attenti o cogliere gli aspetti generali. Ogni dettaglio ha la sua importanza, ma anche la comprensione globale è fondamentale. Questa è la linea che superiamo per partecipare alle attività che avvengono qui e ora.

Attraverso le attività per la Focalizzazione (o di Allungamento), riusciamo a concentrarci mantenendo la visione d’insieme e dando un senso preciso alle informazioni ricevute. Il Riflesso di Protezione dei Tendini (che accorcia i muscoli e tendini della parte posteriore del corpo) serve a proteggerci da un’eventuale aggressione ma blocca ogni apprendimento. Con gli allungamenti, possiamo di nuovo partecipare, rispondere senza paura e comunicare il nostro personale punto di vista.

 

 

Testi tradotti e adattati dal sito www.lepetitbraingymillustre.com a cura di Francine Dries.

Perché frequentare un corso di Brain Gym®?

Perché frequentare un corso di Brain Gym®? Perché ogni corso di Brain Gym attiva un cambiamento. Se non avete paura di cambiare il vostro cervello e il vostro modo di pensare, potrete cambiare, adattare, rispondere, apprendere, progredire e raggiungere gli obiettivi che vi siete posti nella vita.

Alcuni si iscrivono pensando a se stessi e alle proprie difficoltà, alcuni per aiutare altri ad imparare il Brain Gym (i figli, i bambini a cui insegnano o di cui si occupano).

Qualunque sia la vostra motivazione, resterete sorpresi da quanto le vostre capacità di visione, ascolto, lettura, espressione, sicurezza, concentrazione, scrittura, calcolo (e molto altro ancora) potranno migliorare. Grazie alla migliore connessione di corpo e cervello noterete dei cambiamenti anche nel modo in cui seguite le indicazioni, leggete i cartelli e i segnali e  in come guidate.

I corsi sono aperti a tutti, dai 14 anni in poi, senza limiti di età. Il corso è facile da seguire e non richiede di memorizzare dati, leggere un libro o sostenere un esame: quindi è una esperienza assolutamente senza stress! Inoltre, è prevalentemente pratico e anche la parte teorica (che riguarda il cervello e il suo funzionamento) è assai facile e divulgativa. Non è richiesta alcuna competenza specifica e non vi sono controindicazioni.

Per conoscere il Brain Gym vi sono diverse opportunità:

il corso base di 32 ore (suddiviso in 2 weekend)

oppure i seminari Introduttivi al Brain Gym  di I,II, III, IV livello (ciascuno di 4 ore, per un totale di 16).

Per ulteriori informazioni, consultate il sito o scrivete a segreteria@braingymschool.it

 

 

Destra o sinistra? La scelta della lateralità manuale

Nella vita uterina, e nel corso dei primi anni, il bambino utilizza più volentieri la mano destra oppure la sinistra. Ma secondo i tanti ricercatori che hanno studiato il fenomeno, è fra i 3 e i 7 anni che ha luogo la scelta definitiva.

La lateralità, vale a dire la preferenza (a livello di forza e di precisione) nell’utilizzo di una delle parti simmetriche del corpo, riguarda anche l’occhio, l’orecchio e la gamba. Si noti che la mano arriva per ultima, perché la dominanza di piede è già visibile quando il bambino (fra gli 1 e i 2 anni) comincia a salire le scale. La dominanza oculare si fissa intorno ai 2 anni e mezzo. La padronanza dei termini sinistra e destra si matura più tardi, verso i 6 anni.

Secondo la psicologa Jacqueline Fagard (J. Fagard, “Le développement des habiletés de l’énfant. Coordination manuelle et latéralité”, Paris CNRS Editions, 2001), i bambini utilizzano in modo più sistematico la mano preferita via via che progrediscono nella padronanza di un nuovo apprendimento. Più il compito esige abilità e implica sequenze di gesti, più l’attività è difficile o precisa, più la mano preferita svolge un ruolo attivo. E’ appunto il caso dell’apprendimento della scrittura. L’altra mano – che può essere la più efficiente in altri compiti – svolge allora un ruolo di supporto o di orientamento. La lateralità manuale è una nozione complessa, perché esistono numerose varianti nell’utilizzo esclusivo di una delle due mani. E allora, come si spiega tutto ciò? Sono stati proposti numerosi modelli esplicativi che però non convincono tutti. La lateralizzazione, ovvero il processo che conduce alla lateralità, sarebbe la combinazione di fattori genetici, prenatali, neurologici e sociali.

Infatti esistono intere famiglie di destri o di mancini, e alcuni ricercatori invocano anche dei geni dominanti. Inoltre, come spiega la Fagard, “studi clinici e sperimentali, poi i metodi di imaging cerebrale, hanno mostrato l’asimmetria emisferica del cervello. Ciascun emisfero si fa carico degli eventi motori e sensoriali che hanno luogo nella metà opposta del corpo e dello spazio”. In altre parole, anche se i due emisferi cerebrali scambiano le informazioni e lavorano in maniera equivalente, le reti nervose che controllano i movimenti degli arti sono incrociate: è l’emisfero sinistro del cervello che comanda la mano destra e viceversa. Ciò non impedisce che una buona maggioranza di mancini abbia il centro del linguaggio e del pensiero logico e astratto situato, come i destri, nell’emisfero sinistro. La lesione di uno degli emisferi al momento della nascita può portare un bambino a utilizzare in maniera dominante il lato comandato dall’emisfero intatto. A ciò si aggiungono i fattori esterni: utilizzando la mano destra, il bambino può imitare i suoi genitori o chi gli sta vicino, può opporsi oppure adattarsi a un ambiente costruito da e per i destri.

In ogni caso, la lateralità è una tappa decisiva! Fin dall’inizio, le esperienze vissute aiutano il bambino a conoscere il proprio schema corporeo. Prendendo coscienza della sua asimmetria, egli impara a strutturarsi nello spazio: percependo l’asse del proprio corpo, egli percepisce anche l’ambiente in rapporto a quell’asse. Inoltre, sarà in grado di riconoscere e memorizzare l’orientamento sinistra-destra quando imparerà a leggere e a scrivere le lettere e i numeri.

 

Difficoltà per mancini e per destri…:

I problemi legati alla lateralità possono essere all’origine di difficoltà scolastiche. Nel caso, ad esempio, in cui la lateralità neurologica sia stata contrastata. “Un bambino può scrivere una o l’altra lettera (b e d, u e n…) o numero speculare perché, scrivendo con la mano non-preferita, utilizza un programma motorio corrispondente alla sua mano dominante. Ciò inverte a livello spaziale la direzione del gesto grafico” spiegano Bruno De Lièvre, dottore in scienze dell’educazione, e la psicomotricista Lucie Staes, in un libro che propone un gran numero di esercizi utili per gli insegnanti e gli psicomotricisti (De Lièvre, Staes, “La psychomotricité au service de l’énfant, de l’adolescent et de l’adulte”, Louvain-la-Neuve, De Boeck, 2012). E suggeriscono che, per evitare che l’allievo imiti l’insegnante scrivendo di fronte a lui, l’adulto si ponga a lato del bambino.

Altri allievi, non percependo chiaramente la loro mano dominante, scrivono tanto con una mano che con l’altra, il che può condurre a difficoltà nell’apprendimento spaziale, specie nel distinguere la sinistra dalla destra. Un gran numero di test neurologici, di forza, di valutazione della lateralità gestuale e funzionale possono aiutare ad “affermare” la lateralità.

La stessa difficoltà a distinguere sinistra e destra è sensibile in quegli allievi che possiedono una dominanza incrociata fra occhio e mano. “Un mancino dell’occhio sposta il campo visivo da destra a sinistra mentre la mano scrive da sinistra a destra” spiegano i due autori.

Una fonte di difficoltà può essere un ritardo di maturazione nella specializzazione dell’emisfero destro del cervello (che regola specificamente la percezione viso-spaziale) o di quello sinistro (quello del linguaggio). Ciò spiegherebbe la difficoltà di certi dislessici a percepire e a memorizzare situazioni e orientamenti spaziali. E, a causa della mancanza di memoria sequenziale (una delle funzioni dell’emisfero sinistro), certi disortografici non riescono a ricordarsi la posizione di ogni lettera (o sillaba) in una parola.

Infine, bisogna ricordare che i mancini ben lateralizzati non hanno più problemi scolastici dei destri. “Solo la scrittura può porre un problema in ragione del movimento di avvicinamento del braccio verso il tronco e della posizione della mano con una flessione troppo accentuata, che può provocare crampi. E’ dunque meglio abituare molto presto i mancini a inclinare il foglio verso il basso a destra, affinché scrivano più o meno dall’alto in basso mantenendo la mano allineata col prolungamento dell’avambraccio.”

Ben più che la lateralità, è dunque il grado della lateralità che sembra importante. I bambini non lateralizzati ottengono risultati meno buoni nelle sfide motorie dei mancini e dei destri che hanno raggiunto risultati paragonabili.

Il presente articolo è stato scritto da Catherine Moreau e pubblicato suLe journal de l’Association Brain Gym France N°52”. Traduzione dal Francese di Alessandra Corrias.

Ecco cosa succede al cervello che impara

0

Quando il cervello impara, si modifica “ristrutturando” i legami tra le cellule. Un team di ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia ha appena pubblicato sul “Journal of Neuroscience” uno studio che descrive, per la prima volta, la struttura interna delle sinapsi, punto di contatto tra due cellule nervose, sulla scala dimensionale del miliardesimo di metro (nanoscala). I ricercatori hanno osservato grazie a tecniche di microscopia ottica avanzata che la sinapsi che “impara” non solo accresce le proprie dimensioni, ma cambia la sua struttura interna a livello nanometrico. Il lavoro è stato condotto da tre team di ricerca della sede di Genova dell’Iit, guidati da Andrea Barberis, Francesca Cella e Alessio Del Bue.

Il cervello ha la capacità di imparare e di plasmarsi secondo gli stimoli sensoriali ricevuti dal mondo esterno grazie alla possibilità di modificare la “grandezza” delle sinapsi, le strutture alla base della trasmissione degli impulsi nervosi. Per la prima volta, però, si è osservato come durante l’apprendimento la sinapsi vada incontro a un frazionamento in sottodomini. Questa delocalizzazione conferisce più stabilità strutturale e funzionale alla sinapsi, favorendo i processi di apprendimento e memorizzazione.

“La sinapsi nel cervello è stata considerata per lungo tempo un’entità indivisibile, così come l’atomo è stato creduto l’unità fondamentale della materia – spiega il neuroscienziato Andrea Barberis, responsabile dello studio – e grazie al lavoro di squadra siamo riusciti a dimostrare che non è così”. “Questo risultato è stato raggiunto anche grazie alle nostre competenze nel campo della microscopia ottica avanzata e della super-risoluzione – racconta Francesca Cella del Nanophysics Team – ma senza le competenze dei colleghi nel campo delle neuroscienze e nel campo dell’elaborazione d’immagine non saremmo mai arrivati a questo traguardo”.

Lo studio – commentano dall’Iit – accresce le conoscenze di base nel campo delle neuroscienze e permette di comprendere meglio la caratteristica di plasticità del nostro cervello, aprendo potenziali nuovi strade allo studio e al trattamento di problematiche come l’epilessia e l’autismo, patologie fortemente collegate alla plasticità cerebrale.

(Com-Ram/Adnkronos Salute 20-MAR-17)

Emozioni. Fra corpo e pensiero

Di seguito pubblichiamo un estratto del workshop di Introduzione al Brain Gym III livello dedicato alle emozioni.

La nostra cultura (da Platone, a Kant fino a Cartesio) da sempre sostiene che si ragioni meglio a mente fredda, lontani dalla confusione e dalla distrazione delle emozioni. Si fanno distinzioni fra pensiero ed emozione esattamente come si distingue fra corpo e cervello. Anche se, come abbiamo visto, queste distinzioni non esistono. Corpo, pensiero ed emozioni sono strettamente connessi e funzionano come un unico sistema. Le emozioni non sono una forma di pensiero o un ulteriore modo di pensare, né un particolare vantaggio cognitivo, ma sono fondamentali per il ragionamento. Inseparabili dal pensiero, sono anche indissolubilmente legate agli stati corporei: il corpo, infatti, le nutre e aiuta a definirle. Questo significa che non pensiamo solo col cervello: pensiamo col cervello e il corpo insieme.

Gli studi condotti dal prof. Damasio e dai suoi colleghi (su pazienti che avevano un danno ai lobi frontali) hanno dimostrato che quando emozioni e corpo vengono separati dal processo cognitivo, il comportamento razionale e l’apprendimento sono assenti. Dai suoi esperimenti, Damasio sviluppò la teoria che le emozioni forniscano i criteri fondamentali su cui basiamo il processo decisionale razionale.

Le emozioni indicano al processo riflessivo la giusta direzione basandosi sulla sopravvivenza o sul rischio sociale. Vengono percepite come stati corporei e sono il mezzo attraverso il quale il cervello sa come si sente il corpo. Quando pensiamo, pianifichiamo ecc. ci serviamo delle conoscenze archiviate che abbiamo accumulato nel tempo: tutte queste esperienze hanno un contenuto emotivo. Questa esperienza (carica di valore emotivo) fa sì che in primo luogo noi preserviamo la nostra sopravvivenza fisica.

La nostra capacità di segnare e ricordare emotivamente le esperienze è importante anche per la sopravvivenza della società. Le emozioni aggiungono l’elemento del piacere o del dolore all’apprendimento del comportamento sociale. Ciò assicura che ogni individuo impari le regole e i valori che sostengono gli scopi della società e le consentono di funzionare. Senza un sano sviluppo emotivo, gli esseri umani non potrebbero divenire adeguatamente sociali e i valori, le regole e la saggezza della società si perderebbero per sempre.

(questo testo è una traduzione e adattamento di alcuni passaggi dello splendido libro “Smart Moves” di Carla Hannaford)

Primavera. Arrivano i nuovi workshop

Ecco i nuovi workshop dedicati a genitori. A breve pubblicheremo anche le date di ogni incontro.

  • Nativi digitali e apprendimento: un mondo “nuovo”/
  • Multitasking e new media: come è cambiato il modo in cui pensiamo/
  • Cervello e movimento: alla ricerca di nuove strategie di apprendimento.                                                                                   Per informazioni, mandate una mail a: segreteria@braingymschool.it

Pre-adolescenti e nuove tecnologie

Secondo i ricercatori di Stanford le ragazzine pre-adolescenti che trascorrono ore e ore a guardare video e che utilizzano vari media tendono a mostrare un minore sviluppo sociale ed emotivo.

Lo studio, condotto qualche anno fa su 3.461 ragazze fra gli 8 e i 12 anni, ha portato a risultati impressionanti, “perfino spaventosi”, come ha detto il professor Clifford Nass.

A quanto risultato, un significativo numero di ore davanti a tv, video e online si accompagnava a uno squilibrio delle capacità sociali ed emotive. Le ragazzine che trascorrevano il loro tempo davanti ai video erano meno a proprio agio con se stesse e avevano maggior difficoltà a socializzare in generale.

Un altro risultato emerso dalla ricerca è che chiedere ai bambini di essere multitasking (quindi, utilizzare contemporaneamente più strumenti elettronici mentre si svolge un’attività specifica, come ad esempio studiare mentre si ascolta la musica e si guardano di tanto in tanto i video dei gattini o si chatta) spesso è negativo e ha effetti nefasti. La ragione di ciò sembrerebbe avere a che fare con la visione del modo “cronicamente distratta” che li affligge. Quando devono comprendere le emozioni, i bambini sono talmente distratti – se hanno i loro strumenti tecnologici a portata di mano – che non riescono a cogliere l’opportunità d’imparare le abilità fondamentali che vengono dal guardare le altre persone sforzandosi di pensare alla loro faccia, alla loro voce, alla postura del loro corpo, alle loro emozioni. Sono irrimediabilmente distratti e si perdono tutto questo, col risultato di maturare un terribile handicap.

Nass sostiene che questo tipo di attenzione si sviluppi molto presto nella vita e conduca a prestare una migliore attenzione non solo nei rapporti “faccia a faccia” ma anche a scuola. Molti insegnanti oggi dichiarano che i bambini hanno grosse difficoltà a prestare attenzione e a mantenerla a lungo. Nass ritiene che ciò avvenga a causa del modo in cui i bambini imparano a fare attenzione.

Da piccolo, in genere, impari attraverso le persone che ti circondano. Quindi, tanto la gestione delle emozioni che il prestare attenzione vengono dalla pratica dei rapporti faccia a faccia. I genitori, pertanto, dovrebbero davvero dedicare una cura molto maggiore all’importanza di un rapporto diretto, faccia a faccia, “di qualità”. I dati, fra l’altro, ci dicono che un bambino allattato al seno mentre la madre guarda la tv, guarda la tv e non la mamma. E’ sconvolgente, perché tutte le teorie sull’attaccamento emotivo parlano dell’importanza del legame iniziale (early bonding): ma se questo viene a mancare, che cosa accade?

Un’altra cosa alla quale ci siamo ormai tutti abituati, crescendo, è la famosa frase “guardami quando ti parlo”. Tutti ce lo siamo sentito dire e spesso lo ricordiamo con fastidio: ci dava fastidio perché richiamava a una fatica necessaria. Del resto è il lavoro duro che conduce a risultati positivi. Se dico alla squadra di basket di allenarsi con i canestri, è un lavoro duro. E’ una cosa che abbiamo accettato in ambito sportivo ma ci sta stretta in ambito sociale. Una volta avevamo tante interazioni faccia a faccia. Del resto, non c’erano molte alternative: non avevamo un iphone, un ipad, un computer o una televisione in camera, quindi vivevamo una grande abbondanza d’interazioni faccia a faccia, che aiutavano a incoraggiare anche l’espressione delle emozioni, tanto positive che negative.

Il mondo dei bambini di oggi (mi riferisco al mondo online) è un mondo di emozioni positive. Uno studio recente dichiara che su Facebook è più probabile ottenere un “mi piace” se si scrive qualcosa di positivo piuttosto che di negativo: così impariamo a smettere di parlare delle cose negative. Quando vivi online, sei in un mondo dove sembra che tutti siano felici. I bambini che sperimentano emozioni negative ma non hanno ancora l’esperienza per gestirle, non sono in grado non solo di esercitare un controllo, ma anche di capire cosa provano (o perché lo provano) né di esprimerlo. Non hanno gli strumenti per interagire col mondo e, come risultato, si isolano sempre di più.

Il mondo online non aiuta a fare pratica perché insegna che bisogna essere felici… Così quando i bambini stanno male, mancano del vocabolario, mancano dell’abilità per comprendere ed esprimere se stessi ma anche per comprendere gli altri.

Molti adulti, a causa degli impegni lavorativi, sono costretti a rispondere alle email 24 ore su 24, 7 giorni su 7. E’ vero, ma non per questo è giusto. Sforzarsi di stare davvero con gli altri e guardarli negli occhi è altrettanto importante.

Ness conclude facendo un esempio di vita vissuta: viene invitato a cena a casa di una persona, e lo informano che vige la regola di cenare tutti insieme perché questa è una cosa importante per i bambini. Così cominciano a mangiare, ma ogni 10 minuti il padre riceve una email dal lavoro, così si scusa e si alza e sparisce per un po’; intanto a tavola i ragazzi si mettono a discutere di statistiche di baseball e quindi tirano fuori il cellulare per consultare i dati online, poi – mentre sono sul sito – cominciano a guardare altre cose e a quel punto la cena degenera. Ness si rivolge all’ospite dicendo: “Credo davvero nella bontà dell’intenzione di sedere tutti insieme allo stesso tavolo per cena, ma questo non è sufficiente. E’ dal ricco coinvolgimento fra esseri umani che parlano di diversi argomenti, portando avanti una conversazione animata e imparando a prestare attenzione gli uni agli altri che nasce la magia dell’educazione.” Non ci sono parole migliori per dirlo.

Il miracolo del cervello che apprende

340Di seguito pubblichiamo un secondo estratto dal seminario “Brain Gym. La relazione fra cervello e movimento nell’apprendimento di nuove strategie” tenuto il 20 febbraio 2017 presso il liceo Vittorio Veneto a Milano da Alessandra Corrias (Brain Gym School).

Per poter apprendere qualcosa di nuovo, il cervello deve aumentare la concentrazione delle sostanze chimiche che trasferiscono i segnali ai neuroni. Trattandosi di un fenomeno rapido, interessa la memoria a breve termine (o miglioramenti a breve termine nella pratica di una abilità motoria).

Oppure, il cervello può alterare la propria struttura e cambiare le connessioni fra i neuroni: ciò richiede un po’ più di tempo e perciò è connesso alla memoria a lungo termine e ai progressi a lungo termine nella pratica motoria. Questi processi interagiscono fra loro. Vediamo come…

Tutti abbiamo provato a imparare una nuova abilità motoria, magari suonare il piano, oppure andare in bicicletta. Avrete anche voi sperimentato un progressivo miglioramento durante la prima sessione di pratica e avrete pensato “ci sono”; poi, magari il giorno dopo, avrete riprovato per scoprire che parte dei miglioramenti del giorno precedente erano andati persi. Che cosa è successo? Nel breve termine, il vostro cervello è stato capace di aumentare i segnali chimici fra i neuroni ma, per varie ragioni, quei cambiamenti non hanno indotto modifiche strutturali necessari per supportare la memoria a lungo termine.

I cambiamenti strutturali possono condurre a far funzionare insieme reti integrate di aree cerebrali per sostenere l’apprendimento. E possono anche cambiare la struttura o addirittura estendere certe regioni cerebrali importanti per comportamenti specifici. Ad esempio, chi legge il Braille ha le aree sensoriali cerebrali delle mani più ampie degli altri individui. La regione motoria della vostra mano dominante – che sta nell’emisfero sinistro se siete destri – è più ampia di quella nell’altro emisfero. Recenti studi hanno dimostrato che i tassisti di Londra (che devono memorizzare la carta della città per avere la licenza) hanno aree cerebrali più ampie dedicate ai ricordi spaziali.

Un altro modo in cui il cervello può cambiare perché avvenga l’apprendimento è alterare la sua funzione. Quando usiamo un’area cerebrale, questa diventa sempre più eccitabile e pronta per essere usata di nuovo. Con l’apprendimento intere reti di attività cerebrale si spostano e cambiano.

Riepilogando, la neuroplasticità viene supportata da cambiamenti chimici, strutturali e funzionali… che avvengono in tutto il cervello, spesso connessi fra loro.

E allora, la prossima domanda è: perché non possiamo imparare qualunque cosa facilmente? Perché, a volte, il percorso scolastico è un calvario? Perché con l’età tendiamo a dimenticare le cose? Ovvero, che cosa limita – e che cosa invece facilita – la neuroplasticità?

Una cosa è chiara: il migliore induttore di un cambiamento neuroplastico è il comportamento. Non c’è farmaco che possa paragonarsi per efficacia. Non c’è nulla come la pratica e la base di tutto è che voi dovete fare il lavoro. Più ci si applica, più ci si impegna e maggiori sono i risultati, in termini di cambiamenti strutturali del cervello.