Carla Hannaford, Ph.D.

Pubblichiamo di seguito un estratto dal volume “Smart Moves. Why Learning Is Not All In Your Head” della dottoressa Carla Hannaford ( Great River Books, 2005, 1995).

“L’ambiente emotivo è un elemento decisivo per la crescita e l’apprendimento fin dall’inizio. In utero, le caratteristiche chimiche e nervose dello stato emotivo della madre influenzano lo sviluppo dell’embrione e del feto. Dopo la nascita, la separazione, la privazione o il rifiuto della madre causeranno una reazione di stress da eccesso di stimoli nel neonato. Ciò potrà generare successivi deficit cognitivi (l’85% dei bambini con attaccamento scompensato nella relazione caregiver-bambino mostrano importanti problemi comportamentali e di linguaggio) e una accresciuta fragilità nei confronti delle malattie (specie disturbi cardiaci) sia da piccoli che da adulti.

Quando sperimentiamo – da embrioni, feti, bambini o adulti – un trauma o l’abbandono, il cervello in via di sviluppo viene strutturato in modo da aspettarsi questo tipo di problemi. Ciò si può osservare nei bambini con autismo che mostrano aree del cervello più ampie per le emozioni e la memoria nella Risonanza Magnetica.

Gli esperti dello sviluppo concordano nel ritenere che l’unico fattore che si sia rivelato in grado di ottimizzare il potenziale intellettivo dei bambini è una relazione sicura e fiduciosa con i genitori e/o caregiver. Il tempo trascorso a coccolare, giocare, esser pienamente presenti e comunicare coscientemente con i bambini stabilisce un legame di sicurezza, fiducia e rispetto sul quale si basa l’intera piramide dello sviluppo del bambino.  Anche bambini che vanno a scuola devono sentirsi sicuri, accettati e inclusi affinché l’apprendimento abbia luogo. Una delle cose più importanti che un insegnante può fare – specie con gli alunni con disabilità – è creare un legame con loro. Le TAC mostrano che i bambini elaborano le informazioni prima di tutto attraverso le emozioni, e le informazioni che risulteranno più rilevanti emotivamente per loro saranno quelle che verranno imparate. D’altro canto, l’insicurezza e la paura possono portare l’apprendimento a un brusco arresto, bloccando le connessioni con la parte alta del cervello.

Il nostro sistema corpo/mente impara attraverso le esperienze di vita in un contesto, in relazione con ogni altra cosa, e sono le nostre emozioni, le nostre sensazioni che mediano quel contesto. Per poter imparare, pensare o creare, chi apprende deve avere un coinvolgimento emotivo, altrimenti l’educazione diventa un mero esercizio intellettuale.  Eppure le scuole in generale consegnano il sapere “pezzo a pezzo”, per aree di materia ben distinte, in un ambiente privo di emozioni ed antisociale. La connessione con le preoccupazioni personali degli studenti o con la futura sopravvivenza è di solito remota. La maggior parte delle lezioni scolastiche si aspettano che gli studenti si dedichino a un’attività seria e intellettuale, priva di un contenuto sociale od emotivo. E gli insegnanti si lamentano di dover essere severi, anziché educatori, nello sforzo di tenere sotto controllo sulle interazioni sociali ed emotive fra i membri della classe.

Gli alunni che si sentono sicuri, rispettati e amati sono fortemente motivati ad apprendere, poiché già possiedono un impegno emotivo, e impareranno perché amano imparare. Altri faranno bene perché sono arrivati a comprendere l’importanza che ha per loro personalmente l’educazione per il successo sociale e quindi si avvicinano all’apprendimento con una dedizione emotiva/di sopravvivenza. Ma quanti non si sentono emotivamente sicuri non avranno un impegno emotivo nei confronti dell’attuale curriculum educativo e quanti non sono in grado di apprezzarne l’applicazione pratica nelle loro vite falliranno miseramente a scuola.

L’educazione sarebbe più efficace se le abitazioni e le classi scolastiche diventassero società di apprendimento, che coinvolgono attivamente le emozioni e le relazioni sociali al servizio dell’acquisizione del sapere.”

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